A Tor Sapienza si è risvegliato uno dei grandi giganti
industriali che ha alimentato a lungo il quartiere e l’intera città: l’ex
stabilimento Fiorucci. Abbandonato per circa vent’anni, il salumificio dismesso è stato sottratto alla
speculazione edilizia nel 2009, quando un gruppo di precari e migranti ha
deciso, insieme ai BPM, blocchi precari metropolitani, di occuparlo. La vera svolta, però, si è
verificata solo due anni più tardi, nel 2011, quando gli attuali occupanti, un
gruppo di 200 persone di etnie diverse (italiani, rom, sudamericani e
africani), si sono stanziati all’interno dell’ ex stabilimento con il progetto
artistico/cinematografico Space
Metropoliz (non perdetevi la sua
storia su youtube!).
Ideato da
Giorgio de Finis e Fabrizio Boni, Space
Metropoliz aveva come scopo quello di giocare il gioco dell’arte e della
fantascienza, unendo gli occupanti e gli artisti che avevano deciso di
prendervi parte in vista di un unico obiettivo: raggiungere la luna. Con il
telescopio per viaggiatori erranti di Gian Maria Tosatti, i razzi di Diavù, la
tuta per missioni extraveicolari di Daniel o in qualunque altro modo possibile.
Perché la luna rappresenta l’ultimo (forse) mondo dove sia possibile cercare la
libertà, dove non si conosca la proprietà privata né l’uso delle armi. Il
nostro satellite, quindi, come simbolo per eccellenza dell’utopia, fondamentale
- come dice il filosofo Carmelo Colangelo – per affrancarsi da ciò che è stato
pensato o fatto finora e per ripensare un’umanità in cui il tema etnico non sia
più quel luogo abrasivo, di conflitto e di pregiudizi ma uno spazio di
costruzione assai più pragmatico e concreto di quanto siamo abituati a pensare,
magari sulla base del pensiero illuminista.
E’ in questo contesto che si
colloca la nascita di un’idea, prima che di un meraviglioso spazio espositivo
come il MAAM, davvero innovativa: coinvolgere i più grandi esponenti del
panorama artistico internazionale nella riqualificazione di un ex salumificio,
uno spazio che nessuno avrebbe mai pensato potesse essere destinato a ospitare
più di 200 opere d’arte, soprattutto considerando la sua collocazione all’interno della città. Io
ho avuto la possibilità di accedere al MAAM grazie a un’iniziativa promossa dal
FAI giovani Roma e consiglierei vivamente a chiunque di andarlo a visitare. Girovagando
per il dedalo di corridoi del museo è possibile ammirare i murales di Alice, la
torre di Babele (“Reset”) di Mauro Magni, il ritratto interamente a penna di
Mauro Maugliani, l’astrattismo povero italiano di Gianni Asdrubali e la barca-strumento di Sara Bernabucci, realmente utilizzata nel corso di alcuni concerti senegalesi.
Evadere dalla
realtà immergendosi nella stanza dei balocchi di Danilo Bucchi per poi asciugarsi
col calore trasmesso dalle fiamme di Mauro Magni e della Collettiva Geologika risulta
un gioco da ragazzi, così come entrare a contatto con un insolito Minotauro, quello
di Paolo Buggiani, che, stufo di sorvegliare il labirinto umano della ludoteca,
si è arreso al piacere della lettura. Basta girare l’angolo, poi, per ritrovarsi
a Berlino, immersi nei graffiti che fanno da cornice alle fitte trame di un
opera di protesta per le condizioni in cui versano i detenuti all’interno del
carcere di Guantanamo, oppure, volgendo lo sguardo di qualche grado in più, in
una palestra in cui pugili ballerini dal guanto di ferro si allenano al ritmo
della disco. E se, dopo aver visto il lavatoio spirituale di Vincenzo
Pennacchi, le ecografie trasformate in farfalle di Rita Mandolini, la stanza
dei lunatici su cui vigilano Wonder woman e Hulk, non foste ancora sazi,
recatevi nella sala “cucina” per soddisfare i vostri occhi e il vostro palato.
Ad attendervi ci saranno i canestri da pallacanestro illuminati, i murales di
Lucamaleonte, i setacci dipinti di Guendalina Salini e le leccornie che i
metropoliziani non esiteranno a condividere con voi. Il MAAM è un luogo unico,
non ve lo perdete.
bello!
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