Lo spazio espositivo del Chiostro del Bramante ospita, fino al 23 agosto, oltre 80 lavori
dell’artista catalano Joan Miró (Barcellona, 1893 –
Palma di Maiorca, 1983) che sono in prevalenza olii ma anche terracotte, bronzi
e acquarelli concessi dalla Fundació Pilar i Joan Miró.
Prima di effettuare la visita ho cercato di ricordare le
poche opere di Mirò che ho potuto ammirare dal vivo e di trovare un nesso con
la poesia e la luce. Il tentativo è stato vano!
La parola “poesia” rimanda la mia mente a concetti quali
leggerezza, delicatezza, fluidità e il
termine “luce” a sfumature, all’impressionismo (penso inevitabilmente al magico
tocco di Renoir). Quindi, mi domandavo: “quali opere troverò all’interno
dell’esposizione capaci di evocare alla mia memoria sensazioni di questo genere?
La risposta è stata: “nessuna”!
Ogni opera colpisce per la creatività, la libertà
espressiva, l’energia, l’aggressività che emana e che rappresentano le
eccezionali qualità dell’artista alla ricerca di una continua sperimentazione,
spinto dal fortissimo desiderio di rinnovamento (nonostante si tratti della
produzione relativa all’età matura di Mirò).
E allora, a cosa si riferisce il titolo?
“Poesia e luce” è
la definizione che diede lo stesso Mirò alla “sua” Maiorca a cui era fortemente
legato in quanto terra d’origine della famiglia materna.
“Mi sento come una pianta. Per questo vivo a Palma. Qui sono le mie
radici. […] È la terra, la terra: qualcosa di più forte di me”.
La mostra raccoglie,
infatti, la produzione artistica
realizzata in questa terra dal 1908 al 1981 con particolare attenzione agli
ultimi trent’anni della vita di Mirò (1956-1983).
La luce, il cielo, la terra
e il mare di Maiorca sono per lui fonte di grande ispirazione, qui lavorava
nella pace e nel silenzio del suo studio progettato dall’amico Sert e che aveva
fortemente desiderato da tempo.
Questo ambiente è in
parte ricostruito all’interno del percorso espositivo e sono, inoltre, presenti
gli oggetti, i pennelli e gli strumenti originali che usava l’artista.
Per rendere lo spazio
creativamente favorevole, Mirò lo riempì di cartoline, immagini ritagliate da
riviste, sassi, conchiglie, siurrells (fischietti di argilla), oggetti d’arte
primitiva.
“Il mio studio è come un orto…io sono il giardiniere”
E’ sempre stato molto
affascinato da quelle espressioni artistiche che considerava elementari e pure
come l’arte popolare, l’arte preistorica, la pittura romanesca catalana.
“La pittura è in decadenza dall’età delle caverne”
Da qui la ricerca di
forme primigenie che rendessero possibile la rivitalizzazione dell’arte.
Il percorso espositivo permette comprendere quali correnti artistiche influenzarono la produzione di Mirò portandolo ad una revisione
fortemente critica del suo lavoro precedente allontanandolo dalla figurazione:
- il dadaismo, cui si deve il suo impulso iconoclasta e la preferenza di elementi antiartistici, caratterizzò la fase detta dell’ “assassinio della pittura” in cui Mirò rinnegò le tecniche e i materiali pittorici tradizionali, utilizzò supporti come la carta vetrata, pezzi di legno inchiodati, materiali da riciclo, compensato, masonite (fibre di legno pressato). Nutrì un grande interesse per i materiali che riteneva il punto di partenza, gli suggerivano il modo di dipingere e la tecnica;
“Ciò che più mi interessa è il materiale con cui lavoro. É il materiale
a procurarmi lo choc che suggerisce la forma, così come le crepe in un muro
suggerirono forme a Leonardo da Vinci”.
- l’espressionismo americano, caratterizzato dall’energia e l’immediatezza, che lo condusse all’ampliamento dei supporti, alla ricerca di un linguaggio gestuale, alla pittura sul pavimento (ispirandosi a Pollock): utilizza come strumenti direttamente le mani, cammina sulle opere, usa spruzzi e gocciolamenti e in alcuni casi impiega la trementina sporca di colore versata direttamente sulla tela dopo aver pulito i pennelli;
- la calligrafia dell’arte orientale, influenza dovuta ai suoi due viaggi in Giappone, lo condusse all’essenzialità. Lo scopo era quello di ottenere la massima intensità con il minimo dei mezzi: si riducono le forme ed i colori (utilizza solo il bianco e il nero) e le pennellate sono calligrafiche.
Nelle ultime sale
dell’esposizione, trovano posto anche le opere scultoree di Mirò che, sempre
nell’ottica della sperimentazione di nuovi materiali, sono formati da collage o
si tratta di dipinti-oggetto che univano pittura e scultura nonché oggetti
trovati (objets trouvés) combinati in “assemblaggi”.
Un esempio è l’assemblaggio
senza titolo del 1972 in cui è incorporato un giornale cileno, El Mercurio del
9 luglio 1971, arrotolato, dipinto e legato.
Concludendo, consiglio a
tutti voi la visita, ne uscirete sicuramente un po’ “rinnovati”: i tratti, le pennellate, le impronte di Mirò
trasmettono l’entusiasmo e la passione che dedicò al suo lavoro
“Credo che il lavoro sia
la mia vita e la mia natura”
Tratti che, anche se
possono apparire astratti, rimandano a un altro mondo, suggeriscono forme e stimolano
la fantasia.
Sono quasi convinta che
la stella, una delle immagini a lui più care e ricorrenti nelle sue opere, sia
in realtà un asterisco che, in quanto tale, ha lo scopo di “rimandarci” al
nuovo mondo appena creato dentro di noi!
Informazioni utili:
Orario:
tutti i giorni
dalle 10,00 alle 20,00
Sabato e Domenica
dalle 10,00 alle 21,00
(la biglietteria
chiude un’ora prima)
Biglietti:
Intero € 12,00
Ridotto €
10,00(Valido per gruppi di almeno 15 persone, visitatori oltre i 65 anni,
studenti universitari fino ai 26 anni)
Scuole € 5,00
Famiglia € 30,00
(Valido per nuclei familiari di minimo 3 persone)
TUTTI I GIOVEDI’: per gli studenti universitari con tesserino ingresso
alla mostra € 5
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