Pochi sanno che il Carnevale, festa caratterizzata da
maschere, coriandoli e stelle filanti che allietano le città d'Italia da Nord a
Sud, è di origine pagana: ricorda, infatti i Saturnali, solenni
festività religiose legate al passaggio delle stagioni
che, nell'antica Roma, avevano carattere sfrenato ed orgiastico.
La tradizione del Carnevale si è
mantenuta viva nei secoli caratterizzando la vita cittadina con balli e
divertimenti che si svolgevano in luoghi della città dedicati. Molte le feste che invadono l’Italia; ricordiamo il Carnevale di
Venezia, di Fano, di Viareggio e di Ivrea che si conclude con la battaglia
delle arance, ed il poco conosciuto Carnevale romano che fino al
XIX secolo oscurava persino quello veneziano.
Dal X alla metà del XVI secolo i
festeggiamenti carnascialeschi si svolgevano, a Roma, sul monte Testaccio,
poi, per volontà di papa Paolo II, i giochi si svolsero in via Lata,
l’attuale via del Corso, dove ancora oggi si svolgono. Tra gli autori che ci hanno lasciato testimonianza indelebile
del suo fascino e della sua peculiarità spicca Johann Wolfgang Goethe,
che dedica ampio spazio al Carnevale di Roma nel suo Viaggio in Italia.
Otto lunghi giorni di festeggiamenti che invadevano
Roma in una festa che non si offriva al popolo, «ma una festa che il popolo
offre a se stesso» con momenti in cui «la differenza di casta, tra
grandi e piccoli, sembra per un momento sospesa…mentre la libertà e la licenza
son mantenute in equilibrio dal buon umore universale».
L’autore descrive con perizia ed entusiasmo tutti i
preparativi ed i luoghi della città che ospitano gli avvenimenti centrali della
festa ed i chiassosi cortei di maschere, come via del Corso, che «prende il
nome dalle corse dei cavalli, con le quali a Roma finisce ogni giornata
carnevalesca...».
I lunghi e vivaci festeggiamenti terminano il giorno
prima del mercoledì delle ceneri, con il suggestivo rito dei moccolotti, che si svolge sempre lungo via del Corso e che lo scrittore ci
descrive come l'«apparire qua e là dei lumi alle finestre, altri accennare sui
palchi e, in pochi momenti, diffondersi all'intorno un tal fuoco, che tutta la
via appare rischiarata come da ceri ardenti».
Antichissima è anche la tradizione
culinaria dedicata ai dolci tipici del Carnevale tra cui, famose, sono le castagnole alla romana.
L’origine delle castagnole è incerta; il nome attribuitogli lascia pensare che
prendano posto in tavola per sostituire le “castagne” che ormai hanno da poco
finito la loro stagione; le castagnole in effetti hanno anche il colore e una
forma che, in qualche modo, ricorda le castagne.
La ricetta delle castagnole più famosa è quella riportata nel
famoso manuale “La scienza in cucina e
l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, famoso scrittore e gastronomo
italiano.
Di seguito vogliamo condividere con voi la sua ricetta allietando
con dolcezza le ultime ore che rimangono per festeggiare il Carnevale.
Ingredienti:
·
50 g. zucchero
·
200 g. farina
·
2 uova
·
un cucchiaio di mistrà o altro liquore
·
scorza grattugiata di limone
·
50 g. burro
·
sale
·
10 g. lievito
·
olio di semi per la frittura
Preparazione:
Mettete in una ciotola o su una
spianatoia tutti gli ingredienti (farina, uova, mistrà, scorza di limone, sale,
zucchero, lievito e burro). Lavorate molto bene fino ad ottenere un
impasto morbido ed omogeneo. Cospargete con un velo di farina e lasciate riposare l’impasto alcuni minuti. Formate,
con l’impasto, dei bastoncini dello spessore di circa due centimetri e con un
coltello ricavatene dei pezzettini delle dimensioni di una noce, o meglio, di
una castagna (castagnola). Ora buttatele nella padella con olio caldo e
lasciatele friggere, a fiamma bassa, per alcuni minuti, girandole di tanto in
tanto, fino a quando non si saranno leggermente gonfiate. Alla vista dovranno
essere leggermente dorate e dovrebbero galleggiare. Scolatele, riponetele in
una teglia rivestita con carta assorbente per rimuovere l’olio di frittura eccedente
e cospargetele con zucchero a velo. Le castagnole di Carnevale sono
pronte da essere servite sulla vostra tavola.
Ilenia Maria Melis
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