giovedì 29 giugno 2017

Giorgione e i labirinti del cuore

E’ in corso da pochissimi giorni e per i prossimi tre mesi una nuova e interessantissima mostra che si inserisce sia, in un ampio contesto di curiosi, appassionati, turisti e amatori, nel quadro dell’offerta culturale estiva della città, sia, in un’ottica più specifica, nell’ambito della ricerca e del dibattito culturale di settore. Si tratta della mostra "I labirini del cuore: Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma"

Nomen omen, il soggetto dell'esposizione sono i sentimenti, in questo caso il ventaglio emotivo legato al magnifico ed enigmatico quadro di Giorgione "I due amici", conservato nella collezione permanente del museo di Palazzo Venezia.

Il percorso inizia con un excursus storico sui rapporti tra Roma e La Serenissima nel 500, sulla decisione da parte del Cardinale Pietro Barbo, futuro papa Paolo II, di far costruire un Palazzo di Venezia a Roma e sul ruolo che questo palazzo situato nel cuore dell'Urbe ha avuto nel tempo. Importanza particolare è stata assegnata alla documentazione multidisciplinare: ogni soggetto è stato analizzato e reso con quadri, libri originali dell'epoca, oggetti, pannelli di supporto, musiche eseguite per l'occasione e ascoltabili grazie all'audioguida gratuita.

La visita si snoda tra i vari ambiti fino ad arrivare al celebre quadro, ma labirintico non è solo il cuore, labirintiche sono anche le sedi scelte, non solo a Palazzo Venezia ma anche a Castel Sant'Angelo il filo conduttore del sentimento amoroso ci guida alla scoperta di nuove nuances e antichi codici linguistici. Questa volta nei magnifici appartamenti papali, che finalmente possono ospitare quadri di grande pregio grazie agli adeguamenti impiantistici.

Dal punto di vista scientifico e filologico, la mostra si inserisce in un filone non ancora esaurito di attribuzioni, commenti e analisi su alcuni preziosi quadri, ma vuole superare la dicotomia "Giorgione sì, Giorgione no"o "Tiziano o Lotto?" e  apre nuove strade agli studiosi che la visiteranno.
Insomma, un'occasione per rivisitare due palazzi magnifici e per compiere un percorso a ritmo di madrigale nei meandri del sentimento, lì dove grandi artisti dei secoli passati si sono afferti di condurci.







Alessandra Florio  

martedì 6 giugno 2017

MACROMANARA - Tutto ricominciò con un’estate romana


In occasione della terza edizione di Arf! Festival (26-28 maggio) è stata inaugurata la mostra Macromanara – Tutto ricominciò con un’estate romana, dedicata al fumettista trentino Milo Manara. L’esposizione, aperta fino al 9 luglio, ripercorre la carriera del maestro dell’eros e regala ai visitatori la possibilità di ammirare da vicino numerose tavole.



Amatissimo in Francia, Manara torna a far parlare di sé alla Pelanda, con le sue donne sensualissime, quasi eteree. «Non mi vergogno di essere definito il fumettista dell’eros» ha affermato durante la conferenza stampa «Continuerò a trattare questo argomento perché è una delle colonne portanti della vita. Inoltre questa etichetta mi rende più riconoscibile rispetto agli altri. È vero però che ho disegnato tanto altro per tutta la mia vita e mi dispiacerebbe essere ricordato solo per i miei fumetti erotici: è come se tutto il resto fosse stata una perdita di tempo». 



Si parte dagli anni Settanta fino ad arrivare ai giorni nostri. La mostra inizia proprio con l’esposizione degli ultimi graphic novel del maestro, come Caravaggio (La Tavolozza e la spada) e I Borgia. Il tuffo nel passato arriva con HP e Giuseppe Bergman (1978) e con Tulum (1986), disegnato da Manara, ma uscito direttamente dalla penna di Federico Fellini. Degli anni Novanta ci sono invece alcune tavole di El Gaucho (1994), Gullivieriana (1996) e L’Asino D’oro (1999). Per finire in bellezza, le magnifiche illustrazioni a colori dello “Zodiaco” (2014) e quelle per la Marvel.


Tutte le info al link.

Anna Maria Parente




sabato 3 giugno 2017

Metti un sabato dalla Piramide Cestia alla Porta di Via Ostiense

Una mattinata piacevole, quella trascorsa con l’Associazione culturale Ars in Urbe, alla scoperta e riscoperta di due monumenti romani, fin troppo noti, ma mai fino in fondo.

La visita inizia alla Piramide Cestia e la guida, Cristina Cecchini, è un mix di preparazione, professionalità e passione e non lesina informazioni di natura sociale, economica, politica, ecc.
Apprendo così che il monumento funebre si ispira alle piramidi egiziane, ma alla lontana, differendone per tecnica costruttiva e per forma. Che il proprietario  - Caio Cestio- è un ricchissimo senatore facente parte del collegio dei Septemviri Epulones, il quale, per testamento, obbliga gli eredi a costruire in meno di un anno la sua Piramide, pena la perdita dell’eredità; che tra i suoi eredi figura addirittura Agrippa,  “quello del Pantheon” come detto con fare partecipante da un visitatore; che….tanti altri notevoli che… fino al momento clou, atteso con trepidazione, ovvero la possibilità di accesso all’interno della camera sepolcrale del monumento. 
Si tratta di una camera rettangolare, con pareti e volta a botte affrescate in terzo stile pompeiano: in riquadri bordati di rosso e con fondo bianco, compaiono vasi lustrali e figure femminili, interpretate come ninfe o sacerdotesse; mentre i grandi assenti sono gli affreschi raffiguranti il committente.
Accesso dei
"tombaroli"
In un periodo impreciso compreso tra la Tardo Antichità e il Medioevo, tali affreschi -collocati uno nella parete di fondo e l’altro al centro della volta- vengono portati via da "tombaroli", che violano la camera, scavando un cunicolo, il cui accesso è oggi segnalato dalla presenza di una grata, in un lato della piramide. Tre grandi buchi sono infatti l’amara sorpresa che si trova di fronte Papa Alessandro VII (1655-1667), quando fa scavare per la prima volta la Piramide. 
Nei secoli successivi, la Piramide ha subito vari interventi di restauro: nell’Ottocento, quando la punta si frantuma perché colpita da un fulmine e in occasione del restauro la si dota di un parafulmine; nel 1999, quando si lavora agli impianti di illuminazione e si munisce la facciata di ganci di rinforzo; e nel 2012, con la ripulitura di tutto il monumento grazie al contributo dell’imprenditore giapponese Yuzo Yagi, proprietario della Yagi Tsusho Ltd, come ricorda la targa, posta sulla soglia di accesso alla camera sepolcrale.

Il viaggio alla Piramide Cestia termina e la visita prosegue alla Porta di Via Ostiense, detta anche Porta di San Paolo, che ospita al suo interno il Museo di Via Ostiense.
Un’isola di storia in un mare di traffico, così si presenta oggi, a seguito dei lavori degli anni Venti del Novecento da un lato e delle demolizioni avvenute durante gli eventi bellici del 1943 dall’altro. Ma ovviamente così non era. Inserita nel sistema di mura, porte e posterule aureliane del III secolo, rinforzata e rialzata da Onorio nel V secolo, la Porta è di fondamentale importanza per due motivi: uno commerciale, conducendo verso Ostia e uno religioso-devozionale, conducendo i pellegrini verso la Basilica di San Paolo. Nel XVIII secolo, Porta San Paolo ospita il Dazio doganale, edificio ancor oggi presente ma con diversa funzione: quella di casa del Custode del Museo. Vedere la signora con le buste della spesa in mano aprire la porta di casa all’interno della Porta di Via Ostiense ed entrare è un qualcosa che solo a Roma può succedere!

La visita si conclude sul camminamento superiore scoperto, da dove apprezzo ancora una volta la bellezza mai scontata di Roma.