martedì 17 febbraio 2015

Il Carnevale romano tra storia e tradizione


Pochi sanno che il Carnevale, festa caratterizzata da maschere, coriandoli e stelle filanti che allietano le città d'Italia da Nord a Sud, è di origine pagana: ricorda, infatti i Saturnali, solenni festività religiose legate al passaggio delle stagioni che, nell'antica Roma, avevano carattere sfrenato ed orgiastico.
La tradizione del Carnevale si è mantenuta viva nei secoli caratterizzando la vita cittadina con balli e divertimenti che si svolgevano in luoghi della città dedicati. Molte le feste che invadono l’Italia; ricordiamo il Carnevale di Venezia, di Fano, di Viareggio e di Ivrea che si conclude con la battaglia delle arance, ed il poco conosciuto Carnevale romano che fino al XIX secolo oscurava persino quello veneziano.

Dal X alla metà del XVI secolo i festeggiamenti carnascialeschi si svolgevano, a Roma, sul monte Testaccio, poi, per volontà di papa Paolo II, i giochi si svolsero in via Lata, l’attuale via del Corso, dove ancora oggi si svolgono. Tra gli autori che ci hanno lasciato testimonianza indelebile del suo fascino e della sua peculiarità spicca Johann Wolfgang Goethe, che dedica ampio spazio al Carnevale di Roma nel suo Viaggio in Italia.


Otto lunghi giorni di festeggiamenti che invadevano Roma in una festa che non si offriva al popolo, «ma una festa che il popolo offre a se stesso» con momenti in cui «la differenza di casta, tra grandi e piccoli, sembra per un momento sospesa…mentre la libertà e la licenza son mantenute in equilibrio dal buon umore universale». 
L’autore descrive con perizia ed entusiasmo tutti i preparativi ed i luoghi della città che ospitano gli avvenimenti centrali della festa ed i chiassosi cortei di maschere, come via del Corso, che «prende il nome dalle corse dei cavalli, con le quali a Roma finisce ogni giornata carnevalesca...».



I lunghi e vivaci festeggiamenti terminano il giorno prima del mercoledì delle ceneri, con il suggestivo rito dei moccolottiche si svolge sempre lungo via del Corso e che lo scrittore ci descrive come l'«apparire qua e là dei lumi alle finestre, altri accennare sui palchi e, in pochi momenti, diffondersi all'intorno un tal fuoco, che tutta la via appare rischiarata come da ceri ardenti».




Antichissima è anche la tradizione culinaria dedicata ai dolci tipici del Carnevale tra cui, famose, sono le castagnole alla romana. L’origine delle castagnole è incerta; il nome attribuitogli lascia pensare che prendano posto in tavola per sostituire le “castagne” che ormai hanno da poco finito la loro stagione; le castagnole in effetti hanno anche il colore e una forma che, in qualche modo, ricorda le castagne. 
La ricetta delle castagnole più famosa è quella riportata nel famoso manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, famoso scrittore e gastronomo italiano.
Di seguito vogliamo condividere con voi la sua ricetta allietando con dolcezza le ultime ore che rimangono per festeggiare il Carnevale.

Ingredienti:

·         50 g. zucchero 
·         200 g. farina 
·         2 uova
·         un cucchiaio di mistrà o altro liquore
·         scorza grattugiata di limone
·         50 g. burro
·         sale
·         10 g. lievito
·         olio di semi per la frittura

Preparazione:

Mettete in una ciotola o su una spianatoia tutti gli ingredienti (farina, uova, mistrà, scorza di limone, sale, zucchero,  lievito e burro). Lavorate molto bene fino ad ottenere un impasto morbido ed omogeneo. Cospargete con un velo di farina e lasciate  riposare l’impasto alcuni minuti. Formate, con l’impasto, dei bastoncini dello spessore di circa due centimetri e con un coltello ricavatene dei pezzettini delle dimensioni di una noce, o meglio, di una castagna (castagnola). Ora buttatele nella padella con olio caldo e lasciatele friggere, a fiamma bassa, per alcuni minuti, girandole di tanto in tanto, fino a quando non si saranno leggermente gonfiate. Alla vista dovranno essere leggermente dorate e dovrebbero galleggiare. Scolatele, riponetele in una teglia rivestita con carta assorbente per rimuovere l’olio di frittura eccedente e cospargetele con zucchero a velo.  Le castagnole di Carnevale sono pronte da essere servite sulla vostra tavola.

Ilenia Maria Melis

venerdì 6 febbraio 2015

"I vestiti dei sogni" in mostra a Palazzo Braschi

Prendo il biglietto per la mostra ed entro a Palazzo Braschi: quale miglior cornice alla splendida narrazione che ripercorre un secolo di storia del costume cinematografico italiano, dal 1915 al 2015. Salgo leggera la scalinata trionfale rivestita di un tappeto rosso; il cuore palpita per l’emozione nell'udire il Valzer Brillante di Verdi e realizzo che sto per vivere un sogno.
Nel tepore romantico delle luci si susseguono nelle sale scenari evocativi in cui riecheggia il fruscio delle vesti che ondeggiano tra i suoni. Abiti che raccontano mani sapienti capaci di tessere creazioni vive indossate dagli interpreti nel breve attimo della ripresa,  per sempre incastonate nelle immagini dei film.






I personaggi della pellicola prendono vita grazie agli abiti portati dagli attori e realizzati per trasmettere sentimenti, gioie e dolori propri di coloro i quali dovevano incarnare. I vestiti non voglio essere sempre semplice ricostruzione storica ma anche dar rilievo al personaggio; in Ettore Fieramosca Vittorio Nino Novarese vuole mostrarci un eroe nella sua veste quotidiana, tanto da ridurre la dimensione delle armature per lasciar spazio al personaggio.

Un’evoluzione psicologica che si ispira, con Maria De Mattei, ai temi coloristici del ciclo vitale di una foglia. Il candore e la delicatezza surreale di una splendida Audrey Hepburn vengono messi in risalto dall'organza e dal satin avorio guarniti da strass e gocce di madreperla che brillano al volteggiare sinuoso nel Valzer di Natascia di Nino Rota in Guerra e Pace.




Gusto limpido per la bellezza e precisione nella ricostruzione storica caratterizzano Piero Tosi, a cui spetta il merito di aver portato l’arte del costume cinematografico ai vertici della perfezione realistica.  Nel Gattopardo di Visconti, Tosi vuole arricchire il personaggio fino a renderlo vivo e reale di fronte alla macchina da presa.


Piume, trionfo di rouge, bustini e stringhe, colori sgargianti e luccichii per l’anima rock della Marie Antoniette di Sofia Coppola; il lavoro di Milena Canonero esaltato nell'eleganza e varietà di costumi che definiscono il clima visivo ed emotivo del film.

Una carrellata di creazioni artigianali che si fonde con gli stucchi decorati del Palazzo: visione eterea e volutamente velata di Giulietta degli spiriti di Federico Fellini; l’uniforme del Maresciallo Carotenuto creata con stoffe lussuose a sottolineare il potere del personaggio (Pane amore e fantasia); i drappeggi raffinati cristallizzati nel volume degli abiti di Casanova; le visionarie rivisitazioni della provincia di Amarcord; la fusione di tecniche e materiali nell'Edipo re di Pasolini; la pesante giacca turchese di Leopardi che contrasta con gli abiti leggeri e colorati, espressione di un dolore dell’anima; vescovi e cardinali di affacciano nella penombra della luce soffusa accanto ai busti dei loro alter ego scolpiti nella pietra (Habemus Papam).




Il viaggio sta finendo; mi ritrovo di fronte all'uscita della mostra, il vento freddo mi accarezza il volto e mi desta da un magico torpore: qui finisce il sogno.






Consiglio di informarsi preventivamente circa gli orari effettivi della mostra per non rischiare, come accaduto a me, di non godere a pieno dell'esposizione ed essere costretti ad abbandonare il museo a causa di chiusure straordinarie.

Ilenia Maria Melis



mercoledì 4 febbraio 2015

L’età dell’angoscia da Commodo a Diocleziano (180 – 305 d.C.).

Busto di Commodo come Ercole 212 d.C.
Musei Capitolini
Il Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini di Roma ospita la mostra L’età dell’angoscia da Commodo a Diocleziano (180 – 305 d.C.). Protagonista è il III secolo d.C., raccontato nei suoi diversi aspetti: dalle opere delle dinastie imperiali (affrontate a quelle di busti di filosofi, fanciulli, uomini e donne comuni) fino ai costumi funerari, passando per la politica urbanistica, civile e militare, e per la religione.
Il percorso ha inizio con una sala dedicata alle dinastie imperiali. Ciò che accade a livello artistico, nel ventennio che precede e introduce il III secolo, è la fine del classicismo degli Antonini che vedeva l’idealizzazione degli imperatori, raffigurati come eroi, dei o semidei, come si può notare nel Busto di Commodo come Ercole.


Ritratto di Caracalla 215-217 d.C.
Musei Capitolini
Busto di Filippo l'Arabo 245-249 d. C.
Musei Vaticani

Il III secolo è invece caratterizzato da una progressiva accentuazione degli aspetti espressionistici rispetto a quelli costruttivi. Prendo come esempio il Ritratto di Caracalla e il Busto di Filippo l’Arabo : si noti l’accentuata volumetria della testa, la chioma ben aderente e la barba cortissima, l’attenta riproduzione dei segni rugosi.




Dopo la breve parentesi della cosiddetta Rinascenza Gallienica (250-270 ca), che vede una reazione alle nuove tendenze espressionistiche, l’Età Dioclezianea e la successiva Età Tetrarchica avviano il secolo alla conclusione con una più accentuata ripresa delle stesse, che è preannuncio della più intensa e sentita spiritualità del IV secolo.

Gruppo dei Tetrarchi
fine III-inizi IV sec.

La mostra mi sembra "scolastica" e non mi sono sentita partecipe o particolarmente coinvolta; mi è sembrata la solita sfilata di statue - nonostante i pregevoli prestiti nazionali e internazionali-. Come sopra accennavo gli aspetti trattati sono molteplici e narrati in diverse sale: peccato che se non si è attenti osservatori delle poche e poco visibili indicazioni e non si chiede al personale, si rischia di vedere la metà delle sale. Le ultime tre sono infatti allestite oltre l'Esedra di Carlo Aymonino che ospita la Statua Equestre di Marco Aurelio.
Invito comunque ad andare a visitare la mostra e a esprimere un vostro parere.
Tutte le info al sito ufficiale 


domenica 1 febbraio 2015

La fine dell’orrore. La liberazione dai campi nazisti.

Il 27 gennaio 2015, giornata mondiale della Memoria della Shoah, si è celebrato il 70° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
Nel cuore di Roma e a due passi dal quartiere ebraico, il Complesso del Vittoriano ospita la mostra La fine dell’orrore. La liberazione dai campi nazisti, una delle numerose iniziative messe in atto dalla Capitale per celebrarne il ricordo.

All'ingresso catturano la mia attenzione pareti nere e una palizzata lignea munita di filo spinato: la freddezza, il distacco, l’orrore sono già perfettamente percepibili per mezzo di questi pochi elementi. 
Il percorso inizia con una carta geografica che localizza i campi di concentramento…sono innumerevoli! E prosegue con vetrine dedicate allo svolgimento della vita e del lavoro dei prigionieri in quei luoghi.




Nel corridoio centrale ai pannelli descrittivi si affiancano anche dei filmati. Questa sezione è dedicata alle fasi militari che portarono alla Liberazione, ma anche ai prigionieri morti e a quelli che ce l’hanno fatta. Perché in fondo la Storia non è tanto quella che si studia sui libri - fatta di date, luoghi e di nomi di generali-,  ma è quella vissuta dalle persone comuni.
La Storia dei sopravvissuti è descritta in pannelli dallo sfondo rosso: insieme alla narrazione della deportazione e della liberazione, non si omettono mai data di nascita e gerarchie parentali, a sottolineare la Vita, gli affetti e i legami di queste persone. Alcuni di loro hanno deciso di testimoniare la loro storia attraverso convegni, pubblicazione di libri o accompagnando gruppi nei campi.
Racconterò di alcuni di loro.
Mario Limentani, classe 1923, è fermato a Roma il 27 dicembre 1943, messo su un vagone piombato alla Stazione Tiburtina il 4 gennaio 1944 e deportato a Dachau. Trasferito a Mauthausen vi rimane fino all’arrivo degli Alleati, il 5 maggio 1945: pesa 27 kg e resta in uno stato di semi-incoscienza per alcuni giorni; si riprende dopo quasi un mese e mezzo di cure.
Rientra a Roma e nel 1949 sposa Liana Del Monte, con cui ha quattro figli. Già negli anni Sessanta torna a Mauthausen e negli anni Novanta il suo impegno di testimone diventa più assiduo, accompagnando gruppi e scuole nei lager e parlando con gli studenti. Muore a Roma il 28 settembre 2014.

Isacco Sermoneta nasce a Roma nel 1912. Nel 1938 sposa Pacifica Efrati ed ha tre figlie Costanza, Emma e Franca. Il 16 ottobre del 1943 i tedeschi catturano nel suo appartamento (in Via del Tempio 4) la moglie e le bambine. Saputo dell’arresto, Isacco si consegna. Deportati ad Auschwitz, la moglie e le bambine sono immediatamente uccise nelle camere a gas, mentre Isacco è poi trasferito in numerosi sottocampi e tenta più volte la fuga. Catturato dalle SS e condotto a Mühldorf, vi rimane fino all’arrivo dei carri armati americani: è il 1 maggio 1945.
Tornato a Roma, riabbraccia i genitori miracolosamente scampati alla razzia. Negli ultimi vent’anni della sua vita apre un negozio di ricordi nel cuore del quartiere ebraico di Roma ed è attivo nel coordinamento delle funzioni religiose, svolgendo il compito di parnas del Tempio Spagnolo. Non formerà più nessun’altra famiglia. Muore nell’ottobre del 1981 a Roma.
La storia di Liliana Segre è quella di una dei pochi bambini sopravvissuti ai campi di sterminio. Nasce nel 1930 a Milano da una famiglia ebraica borghese. Orfana di madre all’età di un anno, vive con il padre, Alberto Segre, a casa dei nonni. Il 30 gennaio 1944 è deportata ad Auschwitz-Birkenau e liberata nel campo di Malkow il 1 maggio 1945 dall’esercito sovietico. Torna in Italia nel 1945 e, rimasta orfana, va a vivere dai genitori materni. Nel 1951 si sposa con Alfredo Belli Paci, con cui ha tre figli e numerosi nipoti. Oggi vive a Milano, dove da anni testimonia con efficacia la sua storia, raccolta anche nel volume Sopravvissuta ad Auschwitz. Riceve due lauree honoris causa in Giurisprudenza e Scienze Pedagogiche.


Shlomo Venezia, ebreo sefardita di nazionalità italiana, nasce a Salonicco, in Grecia nel 1923. Il 1 aprile 1944 è deportato ad Auschwitz-Birkenau, dove lavora nel Sonderkommando, il corpo speciale di prigionieri addetti alle camere a gas. E’ poi tra i prigionieri costretti a fare la “marcia della morte”: dopo aver percorso 60 km a piedi, nella neve, è caricato su vagoni scoperti e trasportato fino a Mauthausen, in Austria. Da qui è trasferito prima nel sottocampo di Melk, poi a Ebensee, dove rimane fino alla liberazione, il 6 maggio 1945.
Della sua famiglia sopravvivono alla Shoah anche i due fratelli. Con loro e il cugino Dario Gabbai, è uno dei pochissimi sopravvissuti del Sonderkommando di Birkenau. Solo nel 1972 comincia a raccontare la sua storia eccezionale e il suo libro Sonderkommando Auschwitz diventa un successo internazionale: è, infatti, tradotto in ventitré lingue diverse compreso l’arabo e il farsi. Muore a Roma nel 2012.
Giuseppe di Porto è il secondo di otto fratelli. È deportato ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Il 18 gennaio 1945 il campo è evacuato dai tedeschi e inizia la "marcia della morte". Liberato nel 1945, oggi vive a Roma e per anni si è impegnato a testimoniare la tragedia subita, mentre la moglie, Marisa, non è mai riuscita a parlarne con nessuno. 
Primo Levi nasce nel 1919 a Torino. I genitori, Cesare ed Ester Luzzatti, discendono da un’antica famiglia della borghesia piemontese, originaria della Spagna e della Provenza, ebraica ma non praticante. Primo ha una sorella, Anna Maria, che nasce nel 1921. Nel 1941 si laurea a pieni voti in Chimica presso l’Università di Torino. Dopo l’8 settembre 1943 e l’occupazione nazista, prende contatti con il Partito d’Azione e si sposta in Valle d’Aosta, dove entra a far parte di una banda partigiana. Nel dicembre 1943 è arrestato dalle milizie fasciste, si dichiara ebreo ed è internato nel campo di transito di Fossoli. Nel febbraio 1944 è deportato con i suoi compagni ad Auschwitz-Birkenau, dove lavora come chimico della fabbrica. A metà gennaio 1945 si ammala di scarlattina e per questo non è inserito nella “marcia della morte”, venendo così liberato il 27 gennaio dall’Armata Rossa. Dopo la guerra si sposa ed ha due figli, ricomincia a lavorare come chimico, ma si dedica principalmente all’attività di scrittore, donando al pubblico quelli che diverranno classici della letteratura italiana del XX secolo: Se questo è un uomo (1947), La tregua (1963), I sommersi e i salvati (1986). Muore suicida l’11 aprile 1987.
Sion Burbea, Franco Schönheit, Sami Modiano, Ida e Stella Marcheria, Nathan Cassuto e Anna di Gioacchino, Luciana Nissim, Enrico Blasi, Nedo Fiano, Rosa Hanan, Amalia e Lina Navarro sono altri sopravvissuti, che hanno testimoniato quell’immane tragedia.
L’ultima sezione della mostra è intitolata I Giovani ricordano la Shoah, perché se è stata tanto fondamentale e preziosa la testimonianza della generazione che ha subito quegli orrori, ancor più fondamentale e doveroso deve essere  il ricordo da parte delle generazioni future.
La mostra resterà aperta fino al 15 Marzo. L’ingresso è gratuito.
Tutte le info al sito ufficiale